Via di qua (Italian Edition) by Umberto Curi

Via di qua (Italian Edition) by Umberto Curi

autore:Umberto Curi [Curi, Umberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2011-10-26T22:00:00+00:00


Filosofare rettamente

Il «teatro della morte» socratico – le «parole» che in esso vengono pronunciate, e le «azioni» che in esso si svolgono – differisce radicalmente da altre forme di «consolazione» proposte agli uomini. Rispetto al dono elargito da Prometeo, all’inganno che di esso è costitutivo, la meléte thanátou del Fedone non invita a distogliere lo sguardo dall’ora suprema che incombe. Ancor meno, essa infonde «cieche speranze». Al contrario, identificando il prepararsi a morire con la filosofia, e facendo di questa un esercizio quotidiano di vita, Platone sostiene che il modo migliore per affrontare la morte non è guardare altrove, ma anzi concentrarsi sulla morte, fissare lo sguardo sulla «maschera» con la quale si presenta, in modo da cogliere il suo statuto intrinsecamente duplice, la sua essenziale ambivalenza.

D’altra parte, in questo approccio diretto, senza censure né rimozioni, non vi è nulla che assomigli a quella forma di titanismo compiutamente immanentizzato, implicito nell’accezione anassagorea della meléte thanátou. Nessuna «sfida» indirizzata alla morte, né alcun compiacimento «superomistico», accompagnano l’«esercizio» preconizzato da Socrate. Prepararsi a morire non vuol dire condividere l’illusione di poter sconfiggere la morte more technologico. Nessuna «tecnica», per quanto sofisticata e collaudata, nessuna forma di autocondizionamento, potrà mai valere a eliminare il dolore connesso con l’evento funesto. Pretendere di poter escogitare mezzi appropriati a neutralizzare la morte, affidare alla metodica realizzazione di talune pratiche quotidiane il compito di cancellare ciò che vi è di più essenziale nella condizione umana, vuol dire sostituirsi vanamente a Prometeo nella sua impresa sacrilega, condividendone infine la sorte di ribelle im-potente.

Catarsi e liberazione, vale a dire proprio quelle «tecniche» messe a punto nella bottega di Antifonte, altro non sono, secondo Platone, che «prodotti» della filosofia,63 la quale a sua volta coincide con il «prepararsi a morire». Non vi è dunque alcuna «tecnologia», distinta e diversa dalla filosofia, alla quale affidarsi per affrontare la morte. Fare filosofia – filosofare orthós, rettamente – è l’unico modo per sostenere la vista della morte, senza illudersi che possano darsi strumenti idonei a sconfiggerla. E poiché «filosofare rettamente» vuol dire riconoscere l’essenziale ambivalenza della condizione umana, il convergere in essa di grandezza e miseria, di sapienza e ignoranza, di ricchezza e povertà, prepararsi a morire vorrà dire ritrovare la medesima ambivalenza essenziale anche nella fase suprema della vita, nel suo exitus. A ciò conduce la meléte socratica. A riconoscere che anche la morte, come ogni altra cosa che appartenga alla condizione umana, è intrinsecamente duplice: è fine, e insieme è anche compimento, è conclusione ma anche vero inizio, è massimo dolore, ma anche perfetta letizia. Sul letto di morte, quando il freddo ha già conquistato la regione addominale del suo corpo, per metà vivo e per metà morto, Socrate vede la morte in questa sua intrinseca ambivalenza, e perciò la descrive non come totale annullamento, ma come una possibile metóikesis, come un passaggio, come un trasferimento ad altra dimora.

Al tempo stesso, il filosofo si ferma qui, a questo – peraltro in ogni senso essenziale e decisivo – riconoscimento dell’ambivalenza della morte, del suo essere insieme dissoluzione e nascita, fine e inizio.



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